lunedì 9 marzo 2009

Aveva, davvero, ragione Don Milani, ed è sempre attuale.
Viviamo in una società che potrebbe essere, senza alcuna forzatura, paragonata ad una macchina, ad un’automobile perfetta con dentro tutte le comodità, dall'airbag, al telefono, dalla musica, al mini bar, tutto ciò che si vuole, molto veloce, sempre più veloce.
In un suo romanzo Milan Kundera, fa un paragone tra due storie d'amore, due storie di incontri tra uomini e donne; una contemporanea e l’altra ambientata nel Settecento. La seconda è un corteggiamento che dura tre giorni, mentre la prima, quella contemporanea, è quella di un rapporto consumato tra due persone che si sono appena conosciute, le quali, al loro risveglio, si scoprono insopportabilmente estranee, perché hanno bruciato tutto subito.
Ecco vi sono delle situazioni di vita che richiedono del tempo, una riflessione, perché le si conosca e le si possa affrontare. Questo tipo di saggezza abita molto poco il nostro tempo, dove gli uomini pensano in velocità, vivono in costante accelerazione. Io in genere do un grande significato al tema della lentezza. Non è vero che il mondo è più perfetto man mano che diventa più veloce. Ci sono alcune dimensioni dell'esperienza che sono possibili solo nella lentezza, dall'amore alla conoscenza. Pensare che tutto possa essere compresso, reso più rapido e veloce, è un'illusione che produce una serie di patologie.
Ebbene, la scuola, che è il riflesso della società, ha interiorizzato questo negativo mito di progresso della velocità, del tutto e subito, del più si fa meglio è, dei mille progetti e delle tante attività, del rincorrere sempre più obiettivi e meno i ritmi individuali degli alunni. Una scuola che parla di qualità come se fosse un'azienda commerciale e che come un'azienda vorrebbe organizzarsi, perdendo di vista la mission, cioè formare donne e uomini capaci di vivere, amare e soprattutto capaci di costruire significato, modificare e governare un mondo migliore.
La scuola, oggi, come affermano autorevoli studiosi, deve essere rimediata per far fronte al caos del nuovo millennio, deve favorire, come dice Andreas, il "coltivare connessioni" integrando le veloci autostrade della rete alle più lente stradine dei sensi e della mente, per far sì che tutti i soggetti che la abitano siano in permanente situazione di apprendimento. La scuola deve trasformarsi da luogo dell'istruzione a luogo della comunicazione, della ricerca, della differenza. Un luogo fisico, ma anche e soprattutto, un luogo globale che utilizzi la tecnologia non come un sussidio, cioè come uno strumento che è possibile utilizzare ma se ne può fare a meno, bensì come catalizzatore dell'azione didattica, dunque tecnologia come elemento necessario e trasparente. Riconoscere oggi questa necessità è fondamentale e indespensabile. Ebbene, non è cosa semplice, costruire questo luogo significa abbandonare l'attuale deriva e fare un salto sistemico non solo nella scuola ma nella società tutta.
Certo che partire dalla scuola è un buon inizio, considerato che da sempre è il luogo formale deputato alla formazione.
Allora dirigenti, docenti, studenti, genitori, svegliamoci è primavera, sarà dolce navigare in questo oceano dove si intrecciano storie, si pratica narrazione, si creano reti di parole, immagini, suoni, movimento, si mescolano culture, lingue, costumi, sapori, sarà bello abitare un mondo in cui gli uomini che si incontrano alla frontiera reale o virtuale possano guardarsi non come se fossero immagine deforme di sé stessi, ma come ciascuno che ha una propria storia da raccontare e che l’altro piacevolmente ascolta. Mi piacerebbe tanto essere uno dei contadini di quest'orto.

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