sabato 18 aprile 2009

La competenza digitale dei digital natives

a proposito di digital native

Dalla trasmissione di informazioni alla costruzione di conoscenza. Una chiarissima presentazione di Gianni Marconato

In questa presentazione, Gianni Marconato chiarisce il suo pensiero su apprendimento e tecnologie. le tecnologie usate per distribuire informazioni non favoriscono la costruzione di conoscenza.
le tecnologie dovrebbero essere usate per costruire artefatti e/o impegno cognitivo.
L'apprendimento è un processo sociale di costruzione di significato e di conoscenza,
Le tecnologie dovrebbero essere usate per rendere possibile amplificare e aumentare la collaborazione, favorire la comunicazione e la conversazione.
Sono completamente d'accordo con le sue riflessioni, il problema è di rendere questi concetti pratica quotidiana.


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giovedì 16 aprile 2009

Vi sono grato per l’ottima compagnia

Ho letto e riletto le riflessioni di Enrico e quelle di Andreas e sono davvero felice di essere in vostra compagnia nei pensieri.

Pensieri che vedono nell’adultità la crisi vera della nostra scuola e in generale della società.

Si, sono anche io profondamente convinto dello scippo che quotidianamente facciamo ai nostri figli, alle nuove generazioni. Scippo di luoghi ma anche di fantasia, immaginazione sogni e speranze.
E’ proprio vero, è cambiato tutto del modo di vivere nelle nostre città e nei nostri paesi, anche fisicamente.

Dalla piazza, la chiesa e il municipio, dai luoghi della vita strutturati e leggibili a un non-luogo molecolare e formicolante, con tanti neo luoghi di assoluta attrattiva, ma anche ad altissimo rischio di solitudine.

Max Augè chiama dispregiativamente la nostra epoca “surmodernità” descrivendo la dimensione sociale dei luoghi dove viviamo, luoghi coloratissimi, molto attraenti, ma poco comunitari.

Questi non-luoghi hanno modificato gli stili di vita, le sedi di relazioni. Hanno modificato profondamente il senso della vita.

I non-luoghi sono governati da un’apocalittica frenesia fatta di luci al neon e di anonimato, si pensi agli ipermercati, ai mega centri commerciali, alle autostrade, alle grandi discoteche.

Ma è anche necessario non demonizzare, per correggere e comprendere.

Serve un pensiero più attento ai luoghi del nostro vivere quotidiano, far si che da “non luoghi” ritornino ad essere sedi di relazioni significanti.

Il luogo scuola.

la scuola è il luogo istituzionale della formazione, ebbene, proprio in questo luogo e per questo luogo il nostro pensiero dovrebbe essere più attento. Dovremmo pensare una scuola di nuovi alfabeti, vicina ai nuovi linguaggi ma che dia ad essi significato.

Non molto tempo fa, quando i nostri nonni erano bambini i luoghi in cui c’erano gli alfabeti erano pochi, le chiese, i palazzi, i tribunali, per strada c’erano campi e case, ma non la scrittura e i segni dei saperi.

E’ stato necessario costruire le scuole come luoghi artificiali in cui gli alfabeti venissero dati, trasmessi.

Oggi tutto è cambiato, ma continuiamo nelle nostre scuole a voler trasmettere, ignorando ciò che è fuori, soprattutto ignorando che oltre ai non-luoghi esiste un luogo-non che è quello della rete che ci parla di un nuovo mondo della conoscenza: ci dice che non c’è un Dio ordinatore dei diversi saperi, non c’è un centro ne un vertice, ma una conoscenza che si svolge su un piano, su una superficie che si adatta, si sostiene, si costruisce.

C’è un oceano dove navigano barche di tutti i tipi troppo spesso alla deriva.

Dunque, qual è l’impatto che dovrebbe avere la scuola nei confronti di questa obesità da conoscenza.

Credo che la scuola debba trovare la consapevolezza che non abbiamo più bisogno di luoghi cognitivi della quantità (nozioni dopo nozioni), ma di luoghi freschi che rendano possibile dare senso e profondità alla grandine di informazioni.

Una scuola che riscopra l’Ermeneutica in un contesto critico, dialettico e costruttivo.

Una scuola che riscopra la lentezza dei tempi d’apprendimento, ma che sappia approfittare delle opportunità e governare la velocità del nostro mondo, una scuola che aiuti il bambino, il ragazzo, il giovane a darsi un ordine proprio rispetto alle molteplici occasioni di conoscenza e che li aiuti a distinguere l’essenziale dal superfluo.

Infine vorrei che la scuola riscoprisse il senso dell’autorevolezza, che non ha nulla a che vedere con modelli autoritari di insegnamento, ma vuol dire ridare senso alla relazione adulti-bambini.
Cioè, riconoscere che tra adulti e bambini non si è né uguali, né uno più importante dell’altro, ma che l’asimmetria del rapporto obbliga a prendersi cura di loro sapendo che è necessario insegnare loro i limiti, avere il coraggio di dire no e di entrare in conflitto.

Dare loro il senso della strada giusta, che poi intraprenderanno da soli.

Mio padre ci parlava sempre della sua ambizione più grande: che noi, i suoi figli, fossimo migliori di lui, ma non più grassi e opulenti, più ricchi e agiati, no, la sua era un’ambizione più grande.
Sognava una società più giusta dove i suoi figli, potessero vivere pienamente la vita con i dolori e le gioie e soprattutto essere lieti di comunicare, parlare, conversare.

Uomini e donne in un felice “convivio”.

martedì 7 aprile 2009

Tecnologie, millenians, digital native, e-book, LIM, blog ecc.

Una brevissima riflessione sollecitata dalla presentazione del libro di Giovanni Biondi.
Tecnologie, millenians, digital native, e-book, LIM, blog ecc. le parole del nuovo millennio governano il dibattito di pedagogisti, tecnologi dell’educazione, esperti di didattica.
Il video è bello, la domanda interessante (la scuola dopo le nuove tecnologie?), la risposta è affascinante (la scuola in una mano), nel libro si auspica un cambio di prospettiva rispetto ai problemi legati all’utilizzo delle tecnologie nella scuola, affermando che la società dell’ITC e la scuola sono molto distanti, quindi è necessario che le tecnologie da sussidio diventino trasparenti affinché siano catalizzatori dell’azione didattica e dell’apprendimento. Tutto questo è condivisibile, ma....la strada è lunga e tortuosa, non basta cambiare l'architettura degli edifici (l'abito non fa il monaco) e nemmeno modernizzare gli strumenti ausiliari (libro VS e-book, palmari, LIM ecc.), forse servirebbe una società che ritiene la formazione pubblica il settore nevralgico per il futuro economico e sociale del paese, servirebbe un governo che investe nella ricerca e nella scuola più di quanto sia mai stato fatto. Servirebbe un cambio di prospettiva nella visione negativa che dagli anni ’70 in poi ha caratterizzato il luogo formale dell’apprendimento, la scuola. Servirebbe che la scuola ritrovi dignità, rispetto, identità e significato. Servirebbe che nella scuola si ricominci a parlare di apprendimento non come prodotto ma come percorso creativo di intelligenze multiple che usano molteplici linguaggi, che coltivano connessioni nella rete, che costruiscono conoscenza e producono senso. Ebbene sono convinto che nella scuola e nella formazione si possa determinare il cambio sistemico che ci permetterà di di uscire dalla deriva di questo moderno mondo liquido.

Mappe mentali, motori di ricerca visuali, web applications

Una interessante presentazione sull'uso delle mappe mentali e sulle risorse che si trovano in rete

venerdì 3 aprile 2009

la ricerca su internet. Una mia breve presentazione

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per un nuovo apprendimento

il cambiamento sarà tale e inizierà col passaggio dal Learning Place, ovvero il luogo fisico (l’aula, etc.) dove tradizionalmente avveniva il processo di trasmissione della conoscenza, al Learning Space dove i medesimi processi avvengono in un contesto nel quale l’azione formativa da “atomica” diviene digitale. Dal luogo al "luogo non" attraverso processi di dematerializzazione e rimaterializzazione.

Un intervento davvero significativo

Che cosa è il paradosso del Web 2.0? E' il paradosso vivente di una società che mentre apprende ed applica le nuove regole fondamentali del comportamento e della comunicazione grazie alla rapida crescita di Internet in molti settori del business, fallisce ancora nell'avere una sufficiente maturità morale capace di rendere concrete queste nuove scoperte nel mondo dell'educazione e dell'apprendimento.


Nonostante molti di noi sappiano perfettamente cosa sia il Web 2.0 (partecipazione, condivisione, umiltà e capacità di ascoltare, richieste di feedback per imparare dagli errori) quando torniamo a casa dai nostri bambini, dimentichiamo tutto questo e mandandoli a scuola li mandiamo in realtà nel Medioevo.

Perché è così difficile per noi collegare ciò che abbiamo realizzato chiaramente nei media, nella televisione, nella radio e nei mercati pubblicitari con il mondo dell'educazione? Perché non facciamo nemmeno un piccolo sforzo per inserire nelle nostre scuole alcune delle attitudini, approcci e capacità che utilizziamo per il nostro lavoro?

Ho cercato di ragionare sul perché ci troviamo in questa situazione paradossale e mi sono reso conto che mentre il business e i guadagni immediati hanno un impatto forte e provocano rapidi cambiamenti nel mondo economico, ci vuole molto più tempo per ottenere gli stessi cambiamenti in un campo che non fornisce guadagni così veloci e immediati. Specialmente quando i cambiamenti, che il nostro mondo economico ha scoperto, metterebbero fortemente a rischio lo status quo dell'apprendimento, eliminando molti dei costi esistenti e delle infrastrutture, così come il valore di mercato di molti esami e certificazioni, rivoluzionando a fondo il mondo del lavoro e le associazioni professionali che conosciamo.

In queste condizioni, e con una piccola speranza di poter cambiare rapidamente il nostro sistema scolastico, ci dovremmo chiedere: insegnare è uguale a imparare?

Durante un incontro con Vance Stevens e con altri partecipanti del EVO 2009 Multiliteracies event, ho condiviso alcuni dei miei pensieri su cosa sia l'apprendimento attuale e anche su ciò di cui avranno bisogno le generazioni future per essere preparate ad un mondo in cui non ci sarà più spazio per i riconoscimenti scolastici o per le domande predeterminate. Ispirato da molti libri e letture di autori del calibro di Ivan Illich, Seymourt Papert, Stephen Downes, George Siemens e Jay Cross, ecco la mia personale visione rivisitata sui punti in cui i nostri sistemi scolastici falliscono e sulle cose che dovremmo davvero imparare, che ancora non si trovano nei programmi ufficiali scolastici.


Questo è il link dove leggere l'intervento interamente
http://www.masternewmedia.org/it/2009/04/03/il_paradosso_del_web_20_parte.htm

mercoledì 1 aprile 2009

sui software sociali in rete


credo che non tutto ciò che è condiviso in rete o si passa come software sociale sia veramente utile. per esempio ho provato ad utilizzare flashcard friends, si possono creare e condividere questioni, test e quiz di vario tipo, insomma lo definiscono un learning object sociale. Non capirò nulla di tecnologie didattiche, ma lo trovo noioso. con tutti questi programmi che generano quiz e cose simili mi sembra che dobbiamo formare una generazione di aspiranti concorrenti a "chi vuol essere milionario"