giovedì 16 aprile 2009

Vi sono grato per l’ottima compagnia

Ho letto e riletto le riflessioni di Enrico e quelle di Andreas e sono davvero felice di essere in vostra compagnia nei pensieri.

Pensieri che vedono nell’adultità la crisi vera della nostra scuola e in generale della società.

Si, sono anche io profondamente convinto dello scippo che quotidianamente facciamo ai nostri figli, alle nuove generazioni. Scippo di luoghi ma anche di fantasia, immaginazione sogni e speranze.
E’ proprio vero, è cambiato tutto del modo di vivere nelle nostre città e nei nostri paesi, anche fisicamente.

Dalla piazza, la chiesa e il municipio, dai luoghi della vita strutturati e leggibili a un non-luogo molecolare e formicolante, con tanti neo luoghi di assoluta attrattiva, ma anche ad altissimo rischio di solitudine.

Max Augè chiama dispregiativamente la nostra epoca “surmodernità” descrivendo la dimensione sociale dei luoghi dove viviamo, luoghi coloratissimi, molto attraenti, ma poco comunitari.

Questi non-luoghi hanno modificato gli stili di vita, le sedi di relazioni. Hanno modificato profondamente il senso della vita.

I non-luoghi sono governati da un’apocalittica frenesia fatta di luci al neon e di anonimato, si pensi agli ipermercati, ai mega centri commerciali, alle autostrade, alle grandi discoteche.

Ma è anche necessario non demonizzare, per correggere e comprendere.

Serve un pensiero più attento ai luoghi del nostro vivere quotidiano, far si che da “non luoghi” ritornino ad essere sedi di relazioni significanti.

Il luogo scuola.

la scuola è il luogo istituzionale della formazione, ebbene, proprio in questo luogo e per questo luogo il nostro pensiero dovrebbe essere più attento. Dovremmo pensare una scuola di nuovi alfabeti, vicina ai nuovi linguaggi ma che dia ad essi significato.

Non molto tempo fa, quando i nostri nonni erano bambini i luoghi in cui c’erano gli alfabeti erano pochi, le chiese, i palazzi, i tribunali, per strada c’erano campi e case, ma non la scrittura e i segni dei saperi.

E’ stato necessario costruire le scuole come luoghi artificiali in cui gli alfabeti venissero dati, trasmessi.

Oggi tutto è cambiato, ma continuiamo nelle nostre scuole a voler trasmettere, ignorando ciò che è fuori, soprattutto ignorando che oltre ai non-luoghi esiste un luogo-non che è quello della rete che ci parla di un nuovo mondo della conoscenza: ci dice che non c’è un Dio ordinatore dei diversi saperi, non c’è un centro ne un vertice, ma una conoscenza che si svolge su un piano, su una superficie che si adatta, si sostiene, si costruisce.

C’è un oceano dove navigano barche di tutti i tipi troppo spesso alla deriva.

Dunque, qual è l’impatto che dovrebbe avere la scuola nei confronti di questa obesità da conoscenza.

Credo che la scuola debba trovare la consapevolezza che non abbiamo più bisogno di luoghi cognitivi della quantità (nozioni dopo nozioni), ma di luoghi freschi che rendano possibile dare senso e profondità alla grandine di informazioni.

Una scuola che riscopra l’Ermeneutica in un contesto critico, dialettico e costruttivo.

Una scuola che riscopra la lentezza dei tempi d’apprendimento, ma che sappia approfittare delle opportunità e governare la velocità del nostro mondo, una scuola che aiuti il bambino, il ragazzo, il giovane a darsi un ordine proprio rispetto alle molteplici occasioni di conoscenza e che li aiuti a distinguere l’essenziale dal superfluo.

Infine vorrei che la scuola riscoprisse il senso dell’autorevolezza, che non ha nulla a che vedere con modelli autoritari di insegnamento, ma vuol dire ridare senso alla relazione adulti-bambini.
Cioè, riconoscere che tra adulti e bambini non si è né uguali, né uno più importante dell’altro, ma che l’asimmetria del rapporto obbliga a prendersi cura di loro sapendo che è necessario insegnare loro i limiti, avere il coraggio di dire no e di entrare in conflitto.

Dare loro il senso della strada giusta, che poi intraprenderanno da soli.

Mio padre ci parlava sempre della sua ambizione più grande: che noi, i suoi figli, fossimo migliori di lui, ma non più grassi e opulenti, più ricchi e agiati, no, la sua era un’ambizione più grande.
Sognava una società più giusta dove i suoi figli, potessero vivere pienamente la vita con i dolori e le gioie e soprattutto essere lieti di comunicare, parlare, conversare.

Uomini e donne in un felice “convivio”.

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